domenica 22 novembre 2009

L'Italia, il PD e i pericoli del populismo




Il populismo, secondo la definizione più recente data da Albertazzi e Mc Donnel in “Twenty-first century Populism” (2008) è un' ideologia che oppone un “popolo virtuoso ed omogeneo ad un insieme di élites e di altre pericolose istituzioni dipinte come entità che deprivano (o tentano di privare) il popolo sovrano dei suoi diritti, valori, della sua prosperità, identità e voce”.

Il politico "populista" si presenta quindi come il paladino degli interessi del popolo, contrapponendosi alle élites e agli ambienti della cultura, che vengono denigrati in quanto troppo lontani dalla vita della gente comune. L'obiettivo del politico populista è conquistare il potere, poco importa per quali obiettivi, cercando di mantenerlo con slogan, promesse e annunci di cui nessuno si accorgerà dell'effettiva messa in pratica, dal momento che una volta al governo si adopererà in ogni modo per cancellare la memoria storica e per spingere i cittadini a concentrarsi su esigenze sempre più contingenti ed effimere (basti pensare ai varietà televisivi, alle soap opera o al calcio).




Bisogna dire che dilagare dei partiti politici populisti in Europa e nel mondo è stato reso possibile da trasformazioni sociali quali l'estensione a tutti i cittadini del diritto di voto e il generale miglioramento delle condizioni economiche della popolazione che in sé sono nobili e giuste. Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti come l'Italia, forse anche a causa dell'acerbità della sua democrazia, sia stata afflitta più di tutti dalla piaga del populismo. Allo stato attuale, è governata da un partito tenuto insieme dal culto della personalità del suo leader che ha visto nella politica un modo per sfuggire ai suoi problemi con la giustizia e da un partito alleato che promette da quando è nato la secessione del Nord da Roma senza essere riuscito a concedere agli enti locali un millimetro di autonomia in più (anzi, misure come quella del taglio dell'ICI vanno nella direzione di una centralizzazione del potere). La retorica di questi due partiti è incentrata proprio sul disprezzo delle "élites culturali" e riecheggia letteralmente la definizione di Albertazzi e Mc Donnel quando denuncia il tentativo di "poteri non democraticamente eletti" di "privare il popolo sovrano dei suoi diritti, valori, della sua prosperità, identità e voce".

Il problema dell'Italia è che, fatto unico in Europa, questi due partiti populisti da "eccezioni passeggere" (come sono rimasti Haider in Austria, il British National Party in Inghilterra o il Front National in Francia) si sono con il tempo accreditati come "partiti di governo". Per reazione, tra i cittadini che non approvano l'operato di questo governo (quelli di orientamento di centro-sinistra ma non solo), ha cominciato ad affiorare un sentimento di frustrazione e di volontà di ribellione. Questa insofferenza diffusa è stata prontamente intercettata da personaggi che hanno colto l'attimo per fondare anche all'interno del centro-sinistra dei partiti populisti. Apparentemente opposti a Berlusconi ma in realtà simmetricamente identici nella ricerca del consenso come unico fine. L'Italia dei Valori, grazie al concorso di personaggi discutibili come Beppe Grillo, ha in poco tempo sfiorato il 10% dei consensi grazie proprio alla retorica teorizzata dall'opera citata in alto. Per Grillo e Di Pietro, il popolo virtuoso e omogeneo, è quello composto dalla fantomatica "società civile" che non si è ancora sporcata le mani con la "politica". Sarebbe quindi giunta l'ora -secondo i dipietristi- di spazzare vie le élites politiche corrotte e di sostituirle con il governo diretto di un popolo indiscriminatamente buono, onesto e competente.

Ecco perché, in una situazione del genere, il compito del PD è particolarmente difficile. Si trova schiacciato tra due populismi: uno autoritario e xenofobo che può contare su sei reti televisive; l'altro, che fa leva sull'insoddisfazione dell'elettorato di centro-sinistra per illuderlo con proposte irrealizzabili e prive di un ampio respiro. Se si aggiunge che anche il PD vede il suo margine di manovra e la sua democraticità interna pesantemente condizionate dalla longa manus delle gerarche cattoliche, ben si capisce quanto l'Italia sia lontana dalla possibilità di opporre a Berlusconi un'alternativa credibile, competente e riformista.

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